Che cos’è la Politica?

Sommario

Il complesso delle attività che si riferiscono alla ‘vita pubblica’ e agli ‘affari pubblici’ di una determinata comunità di uomini. Così l’enciclopedia Treccani definisce la Politica. Il vocabolario Treccani, invece, ne enuncia tre accezioni:

  1. l’attività svolta per il governo di uno Stato, il modo di governare, l’insieme dei provvedimenti con cui si cerca di raggiungere determinati fini, sia per ciò che riguarda i problemi di carattere interno, sia per ciò che riguarda le relazioni con altri stati;
  2. l’attività di un governo o di un uomo volta a risolvere uno specifico problema;
  3. la partecipazione alla vita pubblica attraverso un incarico (deputato, senatore, o membro di un partito o associazione).

Insomma, della politica esistono molte definizioni tra loro diverse; alcuni filosofi, pensatori e intellettuali possono aiutarci a fare un po’ di chiarezza sull’argomento. Questo post raccoglie le idee, le opinioni e le definizioni di tre autori: Platone, Max Weber e Giovanni Sartori che concepiscono la politica, rispettivamente come arte, direzione e sede.

Platone: la politica come arte

Platone esplora l’idea di politica in molti dei suoi dialoghi. In uno di questi, il Politico appunto, Socrate, lo Straniero e Socrate il Giovane si confrontano per definirne il significato. Innanzitutto, annoverano la politica tra le arti conoscitive, caratterizzate dalla conoscenza e che ricomprendono sia la capacità di giudicare che quella di comandare. Nello specifico, la politica è un’arte conoscitiva che prevede il comando. Questa classificazione, da un lato, la distingue dalle arti operative, cioè da quelle che richiedono conoscenze manuali e pratiche; dall’altro, qualifica il politico come colui che comanda e gestisce, e lo distingue da un mero osservatore che guarda, cataloga e giudica.

In cosa consiste la politica, intesa come arte conoscitiva che prevede il comando? Per capirlo, i protagonisti del Politico ricorrono a un’analisi deduttiva, cioè partono da premesse generiche per arrivare a una definizione. La lunga sequenza logica che seguono Socrate, lo Straniero e Socrate il Giovane si dipana fino a definire la politica come la parte conoscitiva della scienza dedicata al comando, relativa all’allevamento degli animali domestici, senza corna, che non possono incrociarsi tra loro e che camminano su due piedi. Il riferimento agli animali domestici è, in realtà, un giro di parole per dire esseri umani. La politica è dunque la parte conoscitiva della scienza dedicata al comando relativa all’allevamento degli uomini.

Pensare alla politica come all’arte di allevare uomini, facendo riferimento agli animali, non è un’idea originale nel pensiero greco antico. Omero, nell’Iliade e nell’Odissea, definisce i capi di greci e troiani “pastori di genti” perché conducono i loro popoli e i loro eserciti in battaglia. Anche nel Nuovo Testamento Gesù1 dice di essere un buon pastore: conosce ciascuna delle sue pecore, le guida e dà la sua vita per loro.

Cosa vuol dire allevare degli uomini? Vuol dire prendersene cura, averli a cuore, averne premura. Anche questa è un’idea ha avuto molto successo nel corso dei secoli. Per esempio, Don Lorenzo Milani aveva fatto scrivere su una parete della scuola in cui insegnava “I care”, che si può tradurre in italiano come “mi prendo cura”. Unendo le idee di Platone a Don Milani, si potrebbe concepire la politica come l’arte conoscitiva del comando, che serve a “prendersi cura” degli uomini.

Come ci si può prendere cura degli uomini? I protagonisti del Politico non sono certo degli ingenui e sanno che pur essendo un’arte conoscitiva, la politica deve condurre a una o più azioni che ricadono in tre ambiti: oratoria, arte della guerra e giustizia. In questi ambiti, la politica serve a identificare il momento opportuno per adottare un’azione specifica: l’azione giusta al momento giusto (καιρός in greco antico). Un politico decide se è opportuno o meno persuadere, muovere guerra e giudicare. 

L’arte della politica ha anche un’altra funzione: serve a costruire una comunanza di opinioni e di valori tra uomini e donne dai caratteri diversi. Gli esseri umani possono avere un carattere prevalentemente temperante o prevalentemente coraggioso; entrambe queste caratteristiche sono auspicabili in un popolo. Se una di queste però dovesse prevalere potrebbe portare alla sua rovina. Infatti, una popolazione prevalentemente temperante e misurata può reagire passivamente alle minacce esterne ed essere arrendevole; al contrario, una popolazione per lo più audace potrebbe portare a guerre e conflitti inutili, fatali per lo Stato. La politica si deve occupare di combinare temperanti e coraggiosi ed evitare che una delle due componenti prevalga sull’altra, per costruire uno Stato che possa contare su entrambe queste caratteristiche.

Weber: la politica come orientamento/direzione

Per Max Weber, sociologo, storico, giurista ed economista tedesco, la politica ha molti significati e si può riferire a più ambiti: la politica di una banca centrale, di un sindacato, della presidenza di un’associazione e addirittura la politica di una donna intelligente che cerca di guidare il proprio marito. Weber scrive della politica come professione, cioè della politica come attività di direzione o influenza esercitata su un gruppo politico, ovvero, lo Stato. 

Per capire cos’è la politica, dunque, è necessario capire cos’è lo Stato. Weber lo definisce sulla base della sua peculiarità: l’uso legittimo della forza. É lo Stato che autorizza o permette a un individuo o un gruppo politico di utilizzare la forza, e lo fa sulla base di procedimenti regolati da norme precise, sulla base del diritto. Fare politica, quindi, significa per Weber aspirazione a partecipare al potere o a esercitare una qualche influenza sulla distribuzione del potere, sia tra gli Stati sia, all’interno di uno Stato, tra i gruppi di uomini che esso comprende entro i suoi confini. Chi fa politica vuole influenzare l’esercizio e la distribuzione dell’uso legittimo della forza tra gli Stati e all’interno dello Stato.

Quando la politica può esercitare legittimamente il proprio potere? In tre casi, che coincidono con le tre fonti di legittimazione del potere: la tradizione, su cui si fondano le monarchie ereditarie o le teocrazie; il carisma, cioè la dedizione e la fiducia personale in una persona; la legalità, cioè la fede nella validità di una norma legale che attribuisce il potere, ad esempio, a un pubblico funzionario. Queste tre forme di legittimazione possono coesistere e combinarsi tra loro: ad esempio, una costituzione (norma) prevede che una certa famiglia (tradizione) detenga il potere; in una repubblica parlamentare come l’Italia, la costituzione (norma) prevede che i Senatori a vita debbano aver illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario (carisma). Quindi la politica può esercitare legittimamente il proprio potere sulla base del carisma, della tradizione o della legge.

Quali sono i mezzi per esercitare il potere? Per mantenere ed esercitare il potere è necessario disporre di beni materiali “esteriori”. Secondo Weber, questi beni possono essere detenuti direttamente da chi esercita il potere, oppure la proprietà dei beni può essere separata dai detentori dello stesso. Un esempio del primo tipo è il sistema feudale: il sovrano manteneva ed esercitava il potere sia attraverso mezzi propri, sia grazie alla fedeltà dei suoi vassalli che  disponevano ed esercitavano il potere grazie alle loro risorse. Un esempio del secondo sistema è lo Stato moderno in cui i funzionari che esercitano il potere, amministrativo ma anche giudiziario, non sono i proprietari degli uffici, dei tribunali, dei mezzi concreti, ma li usano per esercitare il potere. É vero che negli Stati moderni l’elemento personale del potere (funzionari e detentori di incarichi pubblici) è separato da quello materiale (mezzi), ma è anche vero che chi detiene un potere de facto, come quello economico, può accedere più facilmente a quello de iure (tradizione, carisma e legge). Per ovviare a questa asimmetria, alcuni Stati hanno pensato di introdurre finanziamenti a partiti, gruppi parlamentari e ad associazioni consentendo anche a chi non possiede mezzi di poter aspirare all’esercizio del potere.

Sartori: la politica come sede

Giovanni Sartori definisce la politica attraverso un’analisi storica del concetto: parte dalla politica nell’antica Grecia che è legata a un luogo e arriva fino ai giorni nostri per identificare, invece, una sede.

La radice del sostantivo politica è polis, la città-Stato greca, il luogo in cui gli uomini vivevano, coltivavano desideri, ambizioni e si dedicavano al lavoro. Aristotele definisce l’uomo un animale politico, ma non definisce la politica in sè, che rimane indeterminata. Considerare l’uomo un animale politico lo nobilita; infatti, un uomo che non fa politica, che non vive la propria polis, è un ídion, un idiota. 

Da un punto di vista teorico però, l’uomo politico vive e agisce in un’organizzazione specifica, collocata in un periodo storico determinato e con caratteristiche precise. L’animale politico non è un animale che ha l’ambizione di esercitare il potere in maniera gerarchica, ma quello di occuparsi, come diceva Platone di “prendersi cura”, della propria polis. La politica si lega alla gerarchia e al potere quando arriva a Roma, dove non c’è la polis, ma compare la res publica, la cosa pubblica, che in molte traduzioni italiane è resa con il sostantivo Stato. Questo passaggio si deve anche a un cambiamento di dimensione: il cittadino romano non agisce più in una città Stato, ma lo fa su un territorio molto più ampio.

L’idea della politica come attività di per sé si afferma con Machiavelli, che le riserva una posizione superiore rispetto alla morale e alla religione. Per quanto riguarda la moralità, un Principe, l’uomo politico per eccellenza, deve saper usare strumenti considerati a-morali, immorali e contrari alla religione quando vi è costretto:

Dovete adunque sapere come sono dua generazioni di combattere: l’uno con le leggi, l’altro con la forza: quel primo è proprio dell’uomo, quel secondo è delle bestie: ma, perchè el primo molte volte non basta, conviene ricorrere al secondo.

Il Principe – Machiavelli – Capitolo XVIII

Quest’idea di Machiavelli, però, non chiarisce esattamente le categorie a cui deve fare riferimento la politica; per esempio, l’etica fa riferimento alla categoria del bene, un comportamento etico è un comportamento che persegue il bene altrui. L’economia persegue e identifica ciò che è utile. La giuridicità fa riferimento alle categorie di lecito e di illecito.

Sartori riconosce che queste categorie influenzano la politica: l’economia, la morale, la religione plasmano in qualche modo la politica che, tuttavia, non può assimilarsi a nessuna di esse. Per identificare la politica è necessario cambiare approccio: invece di interrogarsi sulla natura dei comportamenti, sociale, politico ed economico, ci si deve interrogare sulla sede, sul contesto politico, sociale ed economico.

Quel che colpisce è la grande varietà dei moventi che ispirano i comportamenti politici. Non si dà, in politica un comportamento che abbia caratteristiche di uniformità assimilabili a quelle dei comportamenti morali ed economici. E, forse, questo è il punto: la dizione “comportamento politico” non è da prendere alla lettera. Non sta ad indicare un particolare tipo di comportamento, ma una sede, un contesto.

Giovanni Sartori – Elementi di Teoria Politica

La sede della politica non è solo lo Stato. Infatti, la politica nasce in un contesto ben preciso ed orizzontale che è la polis greca e, man mano che la politica si allontana da questa, assume connotati gerarchici nell’antica Roma, nel medioevo e in epoca moderna: imperium, dominium, potestas eccetera. Questa mutazione della dimensione della politica non ne diminuisce la peculiarità, tant’è che negli Stati costituzionali, coesistono sia l’aspetto orizzontale che quello gerarchico. Non esiste quindi un’unica sede della politica.

Qual è la definizione di politica secondo Sartori? La politica è la sfera delle decisioni collettivizzate sovrane, coercitivamente sanzionabili, prese da un personale in una sede politica. Collettivizzate e sovrane, vuol dire che le decisioni sono valide per tutti o, come si dice in linguaggio giuridico, erga omnes. Per assicurarsi che siano valide per tutti sono previste anche delle sanzioni per chi non rispetta le decisioni. Chi può prendere queste decisioni politiche? Dipende dal tipo di ordinamento e dal tipo di decisione: in una monarchia assoluta sarà il sovrano, mentre in una democrazia parlamentare sarà il parlamento; in uno Stato autoritario sarà il partito, o l’organizzazione che ne ha preso il controllo. La sede in cui si riunisce lo Stato è il procedimento previsto dall’ordinamento per adottare una decisione politica.

  1. Vangelo di Giovanni 10,1-21 ↩︎

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di Intelligenza Politica