Galileo VS Keynes: affinità e divergenze tra scienza e politica

Sommario

Sebbene Scienza e Politica differiscano sotto vari aspetti, come l’ambito di applicazione, le comunità di riferimento e i percorsi formativi richiesti per diventare “esperti”, presentano analogie degne di attenzione. L’approccio metodico e rigoroso tipico della scienza può essere applicato alla sfera politica. Allo stesso tempo, alcune dinamiche tipicamente politiche, come le rivoluzioni e la cruciale necessità del consenso, svolgono un ruolo essenziale nel mondo scientifico. Un tratto fondamentale che unisce questi due mondi è la loro capacità di offrire diverse interpretazioni della realtà, aprendo un ampio ventaglio di prospettive attraverso cui possiamo esplorare e comprendere il mondo che ci circonda. Nonostante le differenze che si avvertono anche istintivamente, scienza e politica hanno molti più punti di contatto di quanti se ne possano immaginare.

Attorno alla scienza aleggia un’idea di precisione, eleganza e infallibilità; possiamo immaginarla, se fosse una rappresentazione, come il corpo perfetto dell’uomo vitruviano, che si inserisce armoniosamente nelle figure geometriche del cielo e della terra, rispettivamente un cerchio e un quadrato. In “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”, Thomas Kuhn sostiene che, nonostante gli sforzi della comunità accademica, i risultati prodotti dalla scienza hanno finito per assomigliare più a un Frankenstein che alla celebre rappresentazione di Leonardo Da Vinci. Diversamente dalla scienza, la politica non gode di questa fama di precisione ed eleganza: è spesso considerata alla stregua di una partita di calcio, in cui due o più squadre si affrontano con tutti i mezzi, leciti e illeciti, per vincere e conquistare il potere. La politica è vista come un campo di gioco dove quasi tutto è permesso, una sorta di regno dove regna la legge del caos. Nonostante le indubbie differenze, scienza e politica presentano anche inaspettate analogie strutturali: entrambe attraversano periodi “normali” e “rivoluzionari”, e per entrambe il consenso gioca un ruolo centrale.

Stessi fatti, diverse prospettive

Scienza e ideologie politiche si fondano entrambe su teorie che offrono una prospettiva peculiare, un modo specifico di vedere il mondo. Pertanto, di fronte agli stessi fatti, possono emergere spiegazioni diverse, dovute a modi differenti di concepire la realtà. 

Un esempio aiuterà a chiarire questo punto: dall’alba dei tempi, uomini e donne di scienza hanno osservato che un corpo, appeso a una corda o a una catena, oscilla fino a raggiungere uno stato di quiete. Per gli aristotelici, ciò era dovuto al fatto che un corpo pesante si muove per sua natura verso il basso, fino a raggiungere uno stato di riposo naturale. In questa prospettiva, un sasso appeso a una corda è semplicemente un peso che cade con difficoltà, nel senso che esso raggiunge lo stato di riposo solo dopo diversi movimenti tortuosi. Galileo Galilei, invece, non vide un corpo appeso a una corda o a una catena, ma un pendolo. Per Galileo, il pendolo era un corpo che riusciva a compiere gli stessi movimenti più volte quasi all’infinito, laddove gli altri vedevano la caduta goffa di un peso. Questa osservazione del pendolo lo portò a concepire altre teorie importanti e originali della nuova dinamica. Il punto è che, di fronte allo stesso fenomeno, Galileo adottò una prospettiva diversa rispetto ai suoi contemporanei. Ci riuscì perché, invece di usare il paradigma aristotelico, si affidò a quello medievale dell’impetus, secondo cui il movimento continuo di un corpo era dovuto a una forza che gli era stata impartita da un agente.

Interpretazioni diverse per gli stessi accadimenti, dunque: un processo che si applica anche alle ideologie politiche. Un esempio è quanto accadde dopo la Grande Depressione, la più profonda crisi economica degli ultimi cento anni, scoppiata nel 1929. In quel momento il pensiero economico (e ideologico) classico non riusciva infatti a spiegare la mancata ripresa economica e il ritorno ai livelli di occupazione precedenti, nonostante il drastico calo dei prezzi, che avrebbe dovuto favorire il ritorno automatico ad uno stato di equilibrio dell’economia. Il pensiero economico e politico “classico” dominante all’epoca, infatti, si basava sulla cosiddetta legge di Say, secondo cui sarebbe la produzione di beni a generare la domanda degli stessi. Tuttavia, nel caso della Grande Depressione, l’economia non riusciva a riprendersi dalla crisi, anche dopo il calo drastico dei prezzi e l’aumento della disoccupazione al 25% (almeno negli Stati Uniti), che rese la manodopera più economica. Questo disastro economico si diffuse presto anche in Europa, dove l’economista John Maynard Keynes osservò gli stessi fenomeni ma li interpretò in un diverso sistema di pensiero. Keynes capovolse infatti la legge di Say, sostenendo che fosse la domanda di beni a generare l’offerta degli stessi e che quindi, per rilanciare l’economia, lo Stato dovesse stimolare la domanda di beni attraverso interventi diretti nell’economia, che avrebbero creato lavoro, reddito e, di conseguenza, domanda di beni e, infine, avrebbero rilanciato la produzione. La concezione di un ruolo economico attivo per lo Stato costituiva una vera e propria rivoluzione rispetto alla concezione classica dell’economia.

Periodi normali e rivoluzioni

Scienza normale, paradigmi e politica

Sia la scienza che la politica attraversano periodi normali e periodi rivoluzionari. Nei periodi normali, scienziati e politici si dedicano alla risoluzione dei problemi attraverso il paradigma dominante, sia esso scientifico o politico. Invece, nei periodi rivoluzionari, irrompe un’anomalia che costringe scienziati e politici a un ripensamento generale. 

Per distinguere i periodi normali da quelli rivoluzionari, è utile esplicitare la definizione di paradigma. Il paradigma è un esempio di prassi scientifica che include leggi, teorie, applicazioni e strumenti. Dal punto di vista scientifico, i paradigmi sono modelli che danno origine a specifiche tradizioni di ricerca scientifica, ciascuna con la propria coerenza. Ad esempio, dal punto di vista storico, i paradigmi hanno dato il via a tradizioni che gli storici definiscono come “astronomia tolemaica” (o copernicana) e “dinamica aristotelica” (o newtoniana).

Il termine “paradigma” è sinonimo quindi di “scienza normale”, quel tipo di scienza praticata per la maggior parte del tempo al fine di risolvere dei rompicapo, ovvero problemi che mettono alla prova abilità e ingegnosità degli scienziati. Tuttavia, non tutti i problemi sono rompicapo. È la comunità scientifica, attraverso l’adesione a un paradigma, a decidere quali problemi sono scientificamente rilevanti, quali sono metafisici e quali sono troppo problematici per essere risolti. L’adesione a uno specifico paradigma dunque determina anche quali problemi meritano attenzione. Spesso, i problemi che meritano di essere risolti non sono quelli più pressanti a livello sociale, poiché molte volte non possono essere ricondotti alla forma di rompicapo. Questa delimitazione è fondamentale perché, restringendo il campo della ricerca, consente agli scienziati di procedere rapidamente, permettendo così alla scienza normale di raggiungere livelli di precisione elevati in tempi brevi.

Nei periodi normali, le ideologie politiche interpretano il mondo attraverso le lenti del paradigma dominante, utilizzandolo per costruire la società che esse auspicano. Analogamente a quanto accade nella scienza, per le ideologie politiche il paradigma serve a delimitare l’ambito di lavoro di politici, intellettuali e attivisti. Nell’ambito politico, le funzioni del paradigma sono l’analisi e la critica dell’ordine esistente, l’identificazione di un nuovo ordine sociale e la formulazione di una teoria del cambiamento utile per il suo raggiungimento. Riprendendo l’esempio citato prima, nel periodo antecedente alla Grande Depressione, l’ideologia economico-politica dominante era quella classica, fondata su tre assunti principali: 1) gli individui compiono scelte razionali, 2) tendono a massimizzare l’utilità e le imprese a massimizzare i profitti, e 3) agiscono in maniera indipendente, basandosi su informazioni complete. Il paradigma classico, come molti altri, definiva determinati assunti, li utilizzava per analizzare la situazione corrente e delineava una situazione ideale da raggiungere in futuro attraverso strumenti quali la domanda, l’offerta e il meccanismo dei prezzi. Economisti e politici dell’epoca adoperavano questo paradigma per risolvere problemi che riguardavano tanto le imprese e i cittadini quanto le economie nazionali. Il paradigma però si rivelò inadeguato di fronte a un’anomalia, la Grande Depressione, poiché l’economia faticava a riprendersi. Questa inadeguatezza si trasformò in crisi poiché la situazione economico-sociale divenne sempre più pressante, aprendo così lo spazio per l’affermazione di un nuovo paradigma.

Rivoluzioni scientifiche e politiche

Scienza e politica attraversano anche periodi rivoluzionari. In questi casi, emergono delle anomalie che né la scienza normale né la politica riescono a risolvere, creando condizioni favorevoli all’affermazione di un nuovo paradigma.

In ambito scientifico, non è possibile isolare caratteristiche tipiche delle anomalie: a volte queste mettono direttamente in discussione il paradigma dominante, altre volte un’anomalia apparentemente insignificante diventa importante perché le sue implicazioni ne paralizzano gli effetti pratici; in altri casi ancora, esistono più elementi che rendono pressante confrontarsi con un’anomalia. 

La crisi del sistema tolemaico è un buon esempio di come un’anomalia possa portare al crollo di un paradigma. Questo modello astronomico, che posizionava la Terra al centro del sistema solare con tutti gli altri astri che le ruotavano attorno, sopravvisse dal 400 a.C. fino alla teoria di Niccolò Copernico, nella prima metà del XVI secolo. Ciò avvenne perché, nonostante la maggiore accuratezza del sistema tolemaico rispetto a quella dei sistemi precedenti, le sue previsioni relative alla posizione dei pianeti (e alla precessione degli equinozi) non erano allineate alle migliori osservazioni disponibili. Gli astronomi successivi a Tolomeo avevano tentato di risolvere queste discrepanze introducendo nuove regole, ma ciò aveva reso la teoria estremamente complicata. Così, nel XVI secolo, il sistema tolemaico era diventato farraginoso e poco preciso, e le numerose anomalie presentate consentirono un ripensamento complessivo del paradigma.

Le anomalie possono provocare rivoluzioni anche in ambito politico-economico. Continuiamo con l’analisi della Grande Depressione del 1929; all’epoca, il paradigma dominante era quello classico, che mirava a favorire la libera circolazione delle merci a livello mondiale e ad aprire nuovi mercati per le imprese europee, incrementando produzione, ricchezza e occupazione. Il ruolo dello Stato doveva essere marginale: spettava alle imprese e agli industriali creare prodotti, ricchezza e occupazione, mentre il settore pubblico garantiva servizi essenziali, come giustizia e sicurezza. La Grande Depressione rappresentò un’anomalia: “le forze di mercato”, ossia la domanda, l’offerta e il meccanismo dei prezzi, non riuscivano a riequilibrare la situazione o, in termini economici, a ristabilire “l’equilibrio di mercato”. Questo portò all’ipotesi di un ruolo più attivo dello Stato nell’economia.

La crisi economica si espanse anche nel Regno Unito, tanto che il Partito Liberale e il suo leader Lloyd George promisero di ridurre i livelli di disoccupazione entro l’anno attraverso la spesa pubblica. L’idea era finanziare lavori pubblici che avrebbero generato ulteriore spesa, grazie ai lavoratori pagati per realizzarli. Qualche mese dopo questa promessa elettorale, Keynes pubblicò l’opuscolo “Lloyd George può farcela?” per sostenere con argomentazioni economiche le posizioni del leader liberale. L’intuizione politica e l’argomentazione economica, scatenate dall’anomalia, posero le basi per l’affermazione di un nuovo paradigma. Né Lloyd George né Keynes erano certi che questa nuova teoria avrebbe rilanciato l’economia: era una scommessa che diede inizio a una fase rivoluzionaria nelle ideologie politiche e nelle scienze sociali. Infatti, negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, il keynesismo passò da essere una teoria di un illustre professore di Cambridge a diventare il paradigma economico dominante.

Una questione di consenso

Un’altra fondamentale similitudine tra Scienza e Politica è l’importanza del consenso. Di fronte a un’anomalia, la comunità scientifica si trova a dover decidere come proseguire la propria attività di ricerca, ed è in questi momenti che i sostenitori del nuovo paradigma cercano di dimostrarne la capacità di risolvere i problemi che hanno messo in crisi il vecchio paradigma. 

La persuasione può avvenire in almeno tre modi. Il primo è la presenza di “esperimenti cruciali”, che rappresentano uno spartiacque tra le vecchie e le nuove teorie. Tuttavia, l’impatto di questi esperimenti cruciali può non essere sufficiente, soprattutto perché i nuovi paradigmi non producono immediatamente dei miglioramenti. In questi casi, la teoria candidata a diventare un nuovo paradigma non è subito in grado di risolvere i problemi suscitati dalla crisi. Il secondo metodo di persuasione della comunità accademica è quello della maggiore “eleganza”, “adeguatezza” o “semplicità” del nuovo paradigma rispetto a quello vecchio: queste argomentazioni, sebbene non riescano a convincere nella fase iniziale dell’affermazione del nuovo paradigma, spesso sono molto efficaci per la sua affermazione definitiva. L’ultimo strumento di persuasione, e secondo Kuhn forse il più importante, è la fiducia che il nuovo paradigma genera nella possibilità di orientare la futura ricerca. In questo caso, la comunità scientifica si basa più sulle promesse future di un nuovo paradigma che sulle conquiste passate; chi decide di abbracciare un nuovo paradigma spesso lo fa a dispetto delle prove fornite dalla soluzione dei problemi, fondando la sua decisione sulla convinzione che il nuovo paradigma riuscirà in futuro a risolvere i problemi che gli si sono presentati.

Il consenso è un elemento essenziale anche per la politica, tanto nei paesi liberal-democratici quanto in quelli che non lo sono. Negli Stati liberal-democratici, i partiti hanno bisogno di raccogliere il consenso degli elettori per ricoprire incarichi di governo: sia per essere eletti, sia per avere un peso maggiore rispetto agli altri contendenti. Pertanto, i partiti organizzano comizi e campagne elettorali per convincere gli elettori che la loro visione del mondo, il loro paradigma, sia quello giusto per interpretare la situazione politica attuale e per delineare la traiettoria futura della società. Anche negli Stati non liberal-democratici il consenso è fondamentale, anche se non viene espresso attraverso libere elezioni. In questi contesti, i governati devono ritenere legittimo che i governanti esercitino il loro potere, indipendentemente dal fatto che questi siano monarchi assoluti, guide supreme o generali. Per governare, questi devono aver riscosso un certo grado di consenso sia tra il popolo sia tra la classe dirigente del proprio paese.

Una precisazione sul consenso: sebbene questo sia necessario sia in ambito scientifico che politico, è importante precisare che le comunità che devono raggiungerlo sono distinte. Per l’affermazione di un nuovo paradigma scientifico, la comunità di riferimento è quella accademica, composta da individui che hanno dedicato una parte significativa della loro vita all’addestramento scientifico e alla risoluzione di problemi complessi. Per quanto riguarda la politica, la comunità di riferimento è costituita dal popolo, inteso come comunità che vive all’interno di uno specifico territorio, e dalla sua classe dirigente.

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di Intelligenza Politica